Da Sydney con furore alla tranquillità della Tasmania, il volo è breve ma la distanza non è geografica, bensì fisica, ambientale, climatica e persino umana.
Quando ho scelto la Tasmania per iniziare il mio viaggio da “inviato speciale”, avevo voglia di allontanarmi dal frastuono della metropoli, dalla confusione ai semafori, dalle code nei fast food, dal silenzio della gente che ti fa sentire un numero in mezzo ad un universo. La grande città non fa per me, l’avrete capito da questo incipit ma poco importa.
Sono arrivato a Launceston con lo spirito del vacanziero, la valigia zeppa di speranze alla ricerca della vera Australia che avevo tanto immaginato ma non ancora trovato sul mio cammino; peccato che in quella valigia logora mi ero dimenticato dei vestiti pesanti di cui avrei avuto bisogno per affrontare un insolito freddo di febbraio. In questa piccola cittadina ci sono chiese che ricordano la Scozia e antichi ostelli a forma di castello che ti catapultano con il pensiero in Europa; mi aspetto un venerdì sera di baldoria e vita ma poche anime camminano in strada. Mi accorgo subito che la gente è diversa, si ferma a fare due chiacchiere, ti racconta della sua vita con gentilezza e cordialità, non c’è fretta né pressione.
Sabato, prima di ritirare la macchina, entro da un barbiere per farmi spuntare i capelli: la sua politica è fenomenale, birra free per ogni cliente e uno strano orario di lavoro che inizia alle sei del mattino e termina alle tre e mezza del pomeriggio. Decisamente alternativo. Visito il nord, subito, con voracità. Sulla strada per Devonport mi fermo in una farm di lamponi e in un caseificio, poi in una fabbrica di cioccolato; la Tasmania è famosa per i prodotti del suo territorio e per confermare faccio una strage di assaggi. Devonport è una cittadina portuale di scarso interesse, allora mi spingo più ad ovest verso Penguin e Burnie, sonnolente cittadine di mare che non colpiscono la mia attenzione. Penso, se è tutto qui siamo a posto.
Corro verso Hobart attraverso una statale piovosa e desolata, ci sono 14 gradi e ho freddo solo guardando il termometro dell’auto. Il paesaggio mi incanta, dovrebbe essere verde e rigoglioso, invece è brullo e ricorda l’Africa. Hobart è una città più grande e vivace, fatta di salite e discese che richiamano quelle di San Francisco. Gli ostelli sono stupendi e finalmente mi accorgo del loro fascino: ci sono spazi enormi, le camere sono pulite, lo staff disponibile. Ciao Sydney.
E’ ora di buttarsi nella natura del Mount Field National Park e non ne rimango deluso; i parchi nazionali selvaggi e isolati di questo stato meritano davvero. Cascate, montagne, laghi, sentieri immersi nel verde, e chi più ne ha più ne metta.
Curiosando in ostello trovo l’annuncio di una ragazza coreana in cerca di compagni di viaggio per condividere questa esperienza. Continuiamo l’avventura insieme sulle strade della Tasmania. Dritti verso sud, Port Arthur ci aspetta! Questi luoghi sono incredibilmente affascinanti ma nello stesso tempo pieni di malinconia; si avverte il triste passato delle colonie penali e il cielo nuvoloso non aiuta di certo. Poi finalmente il sole e i colori magici escono allo scoperto. Iniziano sentieri di campagna che portano a spiagge bianche e silenziose. Entro in un bar, che è anche una biblioteca, un ufficio postale e una videoteca. La stessa persona che chiude una busta corre a farmi un caffè; può succedere solo qui dove la semplicità regna sovrana.
Mi manca la costa est, ne ho sentito parlare a lungo e lascio il meglio per ultimo. Guidare è uno spasso, da solo in mezzo alla strada che si srotola nel nulla più totale. A Bicheno capito in un ostello che sembra uno chalet di montagna, per trovare un benzinaio mi devo sforzare di chiedere tre volte le indicazioni.
Tutti parlano della Wineglass Bay come meraviglia della Tasmania. Ci arrivo dopo un’ora e mezza di cammino nel Freycinet National Park, accarezzando wallabies e spaventandomi per l’attraversamento di un serpentello distratto. La fatica viene ricompensata da una spiaggia da sogno, troppo fredda per un bagno ma troppo bella da ammirare. Dall’alto rende ancora di più, disegnando una curva a bicchiere di vino che finisce di diritto in tutte le cartoline e nel rullino della mia macchina fotografica. Solo la coreana mi batte, ma si sa, questi asiatici con le foto sono proprio scatenati.
Il giorno dopo devo partire ma la mia voglia di scoprire non è mai sazia. Faccio un salto a Bay of Fires quasi distratto, pensando di vedere un posto banale giusto per dire di esserci stato. Trovo invece il luogo più sensazionale di tutta la Tasmania, un paradiso terrestre. L’acqua è turchese come ai Caraibi, la spiaggia bianca come lo zucchero, le rocce infuocate risaltano sullo sfondo. Cammino a piedi nudi e assaporo tutta la tranquillità che mi può donare la baia dei fuochi.
Adesso sono pronto per andare, ritorno a Launceston e abbandono la mia compagna di viaggio. Mi rendo conto di essere stato in un posto unico e incontaminato, dove regna il silenzio e l’umiltà delle persone che ci vivono. La natura vince su ogni cosa, addirittura sull’uomo, e questo non è mai banale.
Se vi va di dare un’occhiata ad una carrellata dei miei scatti in Tasmania cliccate qui!
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